Spazi che risuonano: musica, accoglienza e battito cardiaco
Agli inizi di dicembre sono stata alla BTO di Firenze, l’appuntamento annuale più importante sull’incontro fra turismo e digitale. Sono stati due giorni pieni di incontri, spunti, idee e, soprattutto, persone. Due giorni in cui sono passata da presentazioni di progetti di storytelling territoriale a panel sulla sharing economy (e di questo ne riparliamo), eventi molto diversi, ma legati da quelli che a me sono sembrati tre concetti molto interconnessi: storie, cultura e coraggio. Le prime due ok, ma che c’entra il coraggio? C’entra eccome, se sei convinto che si possa risollevare l’immagine di un paese puntando sulla narrazione dei territori e delle persone che li abitano, ma anche di ciò che forma la cultura, in altre parole, l’identità di una comunità. E se, soprattutto, sei disposto metterci la faccia.
Io, in questo coraggio ci credo e mi è piaciuto chi l’ha dimostrato non fermandosi agli slogan del “rimbocchiamoci le maniche”, ma “sfidando” quasi il pubblico a scommettere su una via alternativa, che passa per la bellezza. (Grazie, Paolo Iabichino )
BTO, però, ha un difetto enorme. No, non è il wi-fi che non c’era, ma la sovrapposizione di troppe cose interessanti. Impossibile seguire tutto quello che avrebbe meritato (dal mio punto di vista, ovviamente). D’altronde, si sa, la vita è fatta di scelte a cui non ci possiamo sottrarre. Se però avete voglia di leggere qualcosa, vi consiglio la panoramica fatta da Roberta Milano su Chefuturo.it.
Io, invece, voglio provare a raccontarvi qualcosa che non ho visto. Una presentazione che è stata strana da vivere in diretta, ma da un’altra sala, leggendo i tweet degli amici e di tutti i presenti e vedendo l’emozione nei loro occhi dopo, a evento terminato. Una standing ovation i cui applausi si sentivano anche da lontano. Mi riferisco all’intervento di Gigi Tagliapietra, dal titolo “Io ci sUono”. Spazi che vibrano con le persone. Chi conosce Tagliapietra (per gli amici @gigitaly) e l’ha già visto all’opera sa che è come un mago che tira fuori dal cappello i trucchi più scaltri (sia detto con simpatia assoluta) per incantare il suo pubblico. Basti sapere che nel suo speech hanno trovato spazio Mahler, i Beach Boys, Cage, i mastri liutai della tradizione italiana, il suono delle stelle, le frequenze dei colori dell’arcobaleno, gli Area, Satie, David Byrne e molto altro. Irresistibile
Come faccio a saperlo? Facile, ho visto la registrazione. Quando avete un po’ di tempo (dura un’oretta scarsa), guardatela anche voi. Funziona anche se la tenete in sottofondo mentre lavorate a qualcos’altro.
Ora, io non sono sicura di aver ben afferrato il senso del discorso di Tagliapietra, anche se conosco bene il potere trasformativo della musica, che si può dire sia una delle poche certezze della mia vita
Dovessi riassumerlo, però, direi che si è trattato di un discorso sull’amore.
Amore per i luoghi e amore per se stessi. Le due cose, ritengo, vanno assieme. Se amo i luoghi, ma non me stessa, non ci sarà luogo dove potrò trovare sentirmi davvero bene, al massimo vivrò momenti di benessere, ma niente di più e andrò sempre alla ricerca del luogo che mi fa sentire in pace. In questo modo, non farò un buon servizio né a ne né ai luoghi che incontro, perché ne rimarrò delusa e sprecherò così la loro bellezza. Peccato che i luoghi non ci completino, ma che si limitino a restituirci quello che proiettiamo su di loro (che sia l’aspettativa di una bella esperienza o la speranza di ritrovarvi qualche tempo perduto). Se, d’altra parte, amo me stessa, ma non il luogo in cui mi trovo, vuol dire che sto sbagliando qualcosa e che ho scambiato la strada per un punto d’arrivo. In altre parole, che sono condannata a non sentirmi mai davvero a casa. È molto bello il passaggio in cui T. mostra un’immagine del prato dietro casa sua e dice “Quando lo vedo, mi rallenta il battito cardiaco, mi sento in pace, mi sento bene. Sento che tutto è come deve essere”. Il panorama è senz’altro incantevole, ma sono abbastanza sicura del fatto che sia così speciale perché è il luogo dove vive -immagino felicemente- la sua famiglia. Come scindere le due cose?
Luoghi e identità personale sono in un rapporto di scambio continuo, come sistemi che si incontrano e modificano reciprocamente e che conservano memoria dell’altro anche dopo che si sono allontanati (come ci ha spiegato Mafe De Baggis parlandoci di storytravelling e fisica). È una risonanza, dice Tagliapietra. È musica. Come risuoniamo con i contesti ambientali è il risultato di un processo alchemico: il luogo offre la materia prima, noi la “lavoriamo” facendola nostra e attribuendole un senso e quando il processo funziona ne nasce un’esperienza trasformativa.
I luoghi che frequentiamo per svago, i luoghi delle vacanze, del divertimento e del relax agiscono su di noi aprendo possibilità di futuro, facendoci sentire come vorremmo sentirci tutti i giorni. Rilassati, ma anche stimolati, elettrizzati, alleggeriti (dai pesi della vita quotidiana) e molto altro. La vera sfida di chi si occupa di ospitalità (in senso lato, credo, non solo quindi di turismo, ma di costruzione di qualunque tipo di comunità, temporanea o meno) credo stia nel riconoscere che è in atto un processo di questo tipo, molto più sfuggente perché si gioca tutto nella tensione fra aspettativa e soddisfazione di un bisogno, e nel provare a facilitarlo. Non governarlo, attenzione, se non vuole fare la fine di chi pensa che aiutare il turista, l’ospite, la persona a risuonare sia solo questione di quale musica mettere nella hall o nell’ascensore di un albergo (o di qualunque altro luogo predisposto all’accoglienza e all’abitare).
Sono uscita dalla visione del video con tante cose che mi frullavano per la testa. Una di queste era molto vaga. Un ricordo, qualcosa che aveva a che fare con uno spazio perfetto, quale solo uno spazio letterario può essere. La musica fa spesso questa cosa dell’attivare la memoria. Poi, mi è stato regalato un libro, in sostituzione di un altro perduto chissà quando, probabilmente durante un trasloco. La vita è strana, ma talvolta perfetta. Ho cominciato a rileggerlo e ho ritrovato un’immagine che mi ha permesso di risuonare con il discorso di Tagliapietra. Non so se c’entri veramente, ma a me è parso di sì e questo, per ora, mi basta:
“… Ho reso omaggio anch’io al dio dell’Amore, il cui tempio sorge su un’isola che ha spiagge bionde e arcuate, sulla rena chiara lambita dal mare. E l’immagine del dio non è un idolo né qualcosa di visibile, ma un suono, il puro suono dell’acqua marina che viene fatta entrare nel tempio attraverso un canale scavato nella roccia e che si frange in una vasca segreta: e quivi, per la forma delle pareti e l’ampiezza della costruzione, il suono si riproduce in un’eco infinita che rapisce chi lo sente e dà una sorta di ebbrezza o di intontimento.”
Antonio Tabucchi, Esperidi. Sogno in forma di lettera, in Donna di Porto Pim, Notturno indiano, I volatili del Beato Angelico, Sogni di sogni, Sellerio editore, Palermo 2013.
Non trovate che sia un’immagine splendida? La musica come rappresentazione fisica di una divinità…
Forse, mi viene da pensare, il “segreto” sta proprio qui, nel chiedersi dove trovare o come costruire quella vasca segreta, per noi e per gli altri, uno spazio tempo/tempo in cui il cuore batte al ritmo giusto…
[Minneapolis, Minnesota: la musica di Maurice Ravel dipinta sulla parte di un edificio. Image source: jpellgen, licenza CC BY-NC-ND 2.0]
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